Autenticità testamento olografo: qual è l’onere della prova per la parte che impugna?

settembre 20th, 2015|Articoli, Diritto civile, Maddalena Iavazzo|

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite (a cui erano stati inviati gli atti da parte del Primo Presidente a seguito dell’Ordinanza n. 28586/13 della II Sezione Civile) è tornata nuovamente ad occuparsi dell’annoso e assai dibattuto tema dell’impugnazione del testamento olografo ed in particolare degli strumenti probatori attraverso cui fornire la prova della validità o meno della scheda impugnata, affermando così il principio di diritto per cui “La parte che contesti l’autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa”.

Da tempo Dottrina e Giurisprudenza si dividono fra quanti sono a favore del semplice disconoscimento ad opera del soggetto che impugna la scheda (con la conseguenza che l’onere probatorio va a spostarsi sull’erede testamentario cui spetta di richiedere la verificazione della scheda) e quanti invece sostengono che l’erede pretermesso che impugni un testamento olografo abbia anche l’onere di provare il proprio assunto e che tanto debba fare attraverso lo strumento della querela di falso.

A favore dell’una quanto dell’altra tesi militano da sempre autorevoli pareri che sul tema si sono espressi già a partire dagli anni ’50, epoca a cui risalgono le prime importanti pronunce della Suprema Corte.

Da allora la soluzione al tema ha visto prevalere ora l’una tesi ora l’altra – a seconda che il testamento olografo venisse annoverato fra le scritture private o fra gli atti aventi forza di atto pubblico – tutte ben riassunte e commentate con la pronuncia in discorso che, ripercorre con estrema chiarezza l’evolversi storico-giuridico del tema e che merita di essere letta e approfondita per gli importanti spunti di riflessione che presenta.

Se tuttavia la pronuncia in commento abbia scritto definitivamente la parola fine all’annoso dibattito è presto per dirlo, atteso che già nel 2010 le Sezioni Unite si erano pronunciate sul punto – indicando nella querela di falso la strada maestra che l’erede pretermesso doveva percorrere (cfr. sent. Cass. Sez. Un. n. 15169/2012) – ma la decisione della Suprema Corte non può certo oggi passare inosservata.

La pronuncia risolve una battaglia giudiziaria durata decenni ed iniziata con l’impugnazione di un testamento olografo per difetto di autenticità ad opera degli eredi pretermessi nei confronti della vedova del de cuius, istituita unica beneficiaria di tutto il patrimonio del defunto.

Nel ripercorrere tutte le pronunce che nel corso dei decenni si sono alternate a favore dell’una o dell’altra tesi, con particolare attenzione alle ragioni fondanti i diversi “schieramenti”, le Sezioni Unite hanno affermato che la soluzione al problema vada ricercata nella strada già tracciata dalla Suprema Corte con la risalente pronuncia n. 1545 del 15.06.1951 secondo cui, dovendosi intendere l’azione di impugnazione del testamento olografo come un’azione di accertamento negativo in ordine alla provenienza delle scritture private, l’onere della prova spetta all’attore che chiede di accertare la non provenienza del documento da chi apparentemente ne risulta l’autore, in consonanza con l’opinione dottrinaria secondo cui la contestazione della genuinità del testamento olografo si traduce in una domanda di accertamento negativo della validità del documento stesso.

A distanza di diversi decenni dalla predetta pronuncia del 1951 la Suprema Corte oggi, condividendo il citato orientamento ma non senza evidenziarne al contempo i problemi, ritiene che tale strada possa essere utile per superare il contrasto fino ad oggi in essere e i vulnus insiti in ciascuno degli opposti schieramenti, senza tuttavia assumere, come neppure fece la sentenza n. 1545/1951, una posizione esplicita sulla forma dell’accertamento negativo richiesto.

Il Collegio, pur convinto che la soluzione adottata non sia del tutto soddisfacente, ha così in definitiva ritenuto che “la proposizione di una azione di accertamento negativo che ponga una queastio nullitatis in seno al processo ….. consenta di rispondere: da un canto, all’esigenza di mantenere il testamento olografo definitivamente circoscritto nell’orbita delle scritture private; dall’altro di evitare la necessità di individuare un (assai problematico) criterio che consenta una soddisfacente distinzione tra la categoria delle scritture private la cui valenza probatoria risulterebbe “di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso” …… dall’altro, di non equiparare l’olografo, con inacettabile semplificazione, ad una qualsivoglia scrittura proveniente da terzi …….. dall’altro ancora, ad evitare che il semplice disconoscimento di un atto caratterizzato da tale peculiarità ed efficacia dimostrativa renda troppo gravosa la posizione processuale dell’attore che si professa erede, riversando su di lui l’intero onere probatorio del processo in relazione ad un atto che ….. è innegabilmente caratterizzato da una sua intrinseca forza dimostrativa; infine, di evitare che la soluzione alla controversia si disperda nei rivoli di un defatigante procedimento incidentale quale quello previsto per la querela di falso, consentendo di pervenire ad una soluzione tutta interna al processo” …… da qui la formulazione del principio in incipit enunciato.